Introduzione del reato di Autoriciclaggio
La legge n. 186/2014, approvata lo scorso dicembre per disciplinare il meccanismo della cosiddetta voluntary disclosure, diretta a favorire il rientro dei capitali detenuti all’estero, ha introdotto un nuovo reato nell’ordinamento italiano, il cosiddetto Autoriciclaggio 231.
Definizione di reato di Autoriciclaggio
Il reato (nuovo art. 648-ter.1, c.p.) punisce colui che impiega, sostituisce o trasferisce in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative il denaro, i beni o le altre utilità derivanti dal delitto non colposo (di seguito, anche “reato-base”) che lo stesso ha commesso o concorso a commettere. Ciò a condizione che la condotta sia idonea a ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza illecita della provvista.
Fermo restando che si prevede la non punibilità delle condotte di mero utilizzo o godimento personale della provvista illecita, in linea con l’assunto per cui tali ipotesi costituiscono la naturale prosecuzione del reato-base (il cosiddetto post factum non punibile).
L’interesse dell’Organismo di Vigilanza di Kinetika Sardegna
La nuova disciplina incontra l’interesse dell’Organismo di Vigilanza di Kinetika Sardegna poiché è stato inserito tra i reati presupposto della responsabilità amministrativa degli enti ai sensi del Decreto legislativo n. 231/2001 (art. 25-octies). Le nuove previsioni sono oggetto a tutt’oggi di un vivace dibattito dottrinale, in assenza di applicazioni giurisprudenziali significative, dal momento che la portata applicativa delle stesse appare a molti piuttosto vasta, consentendo di introdurre de facto molte fattispecie finora escluse dalla qualifica di reato presupposto.
Possibili implicazioni del reato di Autoriciclaggio
A titolo di esempio possiamo indicare che, sulla scorta di alcuni orientamenti della giurisprudenza in tema di riciclaggio, se il reato tributario dell’infedele dichiarazione è compiuto dall’amministratore nell’interesse della società, il risparmio di imposta si confonde nel patrimonio sociale e quindi si configura in via automatica il reimpiego in attività economica. Pertanto, se questa impostazione dovesse essere confermata anche in materia di autoriciclaggio, l’amministratore autore della dichiarazione infedele potrebbe essere chiamato a rispondere anche per l’autoriciclaggio, ad esempio, per aver pagato i dipendenti con la provvista illecita, anche laddove non si sia attivato per far perdere la traccia del collegamento tra il delitto-base e l’utilità.
Si auspica che non si incorra in imputazioni automatiche per autoriciclaggio e che si dia seguito alle intenzioni del legislatore, richiamate anche da una parte della dottrina, interpretando con rigore l’art. 648-ter.1 e, quindi, valorizzando l’elemento più caratterizzante delle condotte di riciclaggio, vale a dire l’idoneità a nascondere la natura illecita dei proventi. Questo approccio consentirebbe, infatti, di escludere la configurazione in concreto dell’autoriciclaggio nei casi in cui non è possibile identificare e isolare dal patrimonio del contribuente il provento illecito oggetto delle successive operazioni di reimpiego, sostituzione o trasferimento.