La Cover Decision di Glasgow
Il tema materiale della lotta al cambiamento climatico è uno dei più attuali, anche se non certo l’unico da affrontare quando si parla di responsabilità e sostenibilità d’impresa.
Alla ribalta nei giorni attuali, vista la controversa conclusione della conferenza di Glasgow, merita più di un’attenta riflessione per noi che ci occupiamo di fornire gli strumenti per configurare le migliori prassi al servizio delle imprese più attente e responsabili.
Il risultato della riunione di COP26 a Glasgow è ancora oggetto di controversie, contestazioni, tentativi di mediazione, e di un sostanziale insuccesso ideologico. La nuova bozza di pacchetto conclusivo è stata diffusa alle 8:00 del 13 novembre, mentre si attende l’approvazione finale da parte dell’Assemblea Plenaria informale fra i rappresentanti dei 197 Paesi. Sono in discussione anche le bozze aggiornate del pacchetto conclusivo, i temi al cuore del processo Cop, come mercato globale delle emissioni di CO2, regole per il monitoraggio e la verifica degli impegni di riduzione dei gas serra, aiuti ai Paesi in via di sviluppo.
L’oggetto delle contestazioni riguarda in primo luogo l’inconsistenza delle previsioni di aiuti ai Paesi in via di sviluppo, ma a ben guardare il tema ideologico che divide i governanti riguarda il concetto stesso di sviluppo e le sue implicazioni. In primo luogo infatti emerge con sempre maggiore chiarezza la disparità fra le Nazioni ad economia avanzata e le altre, in termini di accesso alle risorse naturali e di garanzie del livello di vita ai cittadini. Ma il vero tema sul tappeto è quello della sostenibilità a medio e lungo termine dello stile di vita dei cittadini delle Nazioni ad economia avanzata, e la possibilità di estendere questo tenore di vita agli altri.
La soluzione di stanziare ingenti somme di denaro pubblico per sostenere un processo di transizione regolamentato verso un modello di sviluppo per i Paesi a basso reddito viene giudicata da molti come insufficiente e poco promettente. Nel 2009, le economie avanzate si erano impegnate a mobilitare 100 miliardi di dollari l’anno a favore di quelli a basso reddito. L’obiettivo era di arrivarci nel 2020, ma ci si è fermati sotto i 90 (83-88 secondo l’Ocse). La somma potrebbe essere raggiunta nel giro di uno o due anni e forse superata nei successivi. Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione Europea, ha definito «deludente» il comportamento dei Paesi avanzati. «L’Unione Europea dà già ora 27 miliardi di dollari – ha detto – ed è pronta a esplorare la possibilità di sforzi ulteriori».
Decisioni e raccomandazioni
I temi in discussione fanno parte della cover decision, «l’albero di Natale», come la chiamano i negoziatori, che comprende impegni più o meno stringenti, ma comunque cruciali, come l’accelerazione dello stop al consumo di carbone o ai sussidi ai combustibili fossili, con una serie di risoluzioni che possono sembrare blande, ma sono bastate a sollevare le resistenze dei Paesi più dipendenti dalle fonti inquinanti (Cina, Russia, India, Australia).
Al tavolo si impongono le raccomandazioni a tagliare i gas serra del 45% entro il 2030, per arrivare allo “zero netto” «attorno a metà secolo». Questo stesso linguaggio usato nel G20 di Roma rappresenta un compromesso necessario per accontentare sia chi punta al 2050 (Ue, Usa, Giappone, Regno Unito, tra gli altri) e chi pretende tempi più lunghi, come Cina, Russia, Arabia Saudita (2060) e India (2070).
Proprio questi ultimi hanno stimolato le critiche di Ong e ambientalisti. In ogni caso abbiamo visto l’adozione di uno sprone dedicato ai Paesi che hanno piani climatici considerati insufficienti: questi infatti saranno spinti ad aggiornare i propri target nel 2022.
Il tema dell'attività d'Impresa
I lavori della conferenza ONU sono evidentemente focalizzati sulla responsabilità dei Governi nel promuovere una strategia di ampio raggio per conseguire il risultato di una definitiva inversione di tendenza rispetto al cambiamento climatico.
Tutto questo non deve farci dimenticare che la lotta al cambiamento climatico passa necessariamente attraverso una concreta e quotidiana azione di controllo e verifica che deve essere svolta in primo luogo dai soggetti maggiormente implicati nelle emissioni.
La produzione di energia e beni di consumo sono evidentemente sotto i riflettori, ma non dobbiamo dimenticare che i soggetti chiamati in causa sono le imprese.
Ad esse si rivolgono e si rivolgeranno sempre più, nel prossimo avvenire, le normative delle singole Nazioni e delle Autorità regolamentari.
La rendicontazione di sostenibilità, finora applicata su base volontaria, diventerà inevitabilmente obbligatoria e soggetta a potenziali sanzioni, di cui i Governi hanno necessità, oltretutto, per contribuire a finanziare i cospicui esborsi richiesti dagli accordi internazionali.
Una dimostrazione concreta di questa tendenza si trova, in Italia, già nel d.lgs. 254/2016 in materia di rendicontazione sugli aspetti non finanziari dell’attività d’impresa. Possiamo attenderci che l’intervento dell’autorità di Governo si faccia sempre più stringente nel pretendere dalle imprese una seria e comprovata attitudine alla sostenibilità. Il termine così vacuo e spesso svuotato di contenuti diventa in tal modo concreto e necessario, oltreché impellente.
BLUEN E LA METRICA DI SOSTENIBILITA’
L’esigenza più evidente e immediata è quella di dimostrare in termini quantitativi l’impegno di ciascuna Azienda nel ridurre le proprie emissioni in tempi definiti.
BLUEN è progettata proprio per rendicontare in modo dinamico e in tempo reale il percorso di riduzione delle emissioni secondo i principi espressi in settembre 2020 dal World Economic Forum con il documento che ha varato la logica Four Pillars.
Il lavoro degli auditors interni o esterni viene infatti guidato nella costante opera di misurazione e rappresentazione delle performances in termini di riduzione delle emissioni e di adozione di misure correttive da parte delle aziende.
Il plus di BLUEN è rappresentato inoltre dalla perfetta integrazione della misurazione e rendicontazione con la compliance normativa sia per la parte cogente che per quella volontaria.
Si tratta dell’unica soluzione per mantenere un controllo efficace della legalità, compliance normativa, e sostenibilità d’impresa.
Questo risultato, già di per sé notevole, si arricchisce considerando che la compliance normativa è integrata in 57 Paesi al Mondo, rendendo possibile un confronto dinamico e aggiornato fra gli obblighi normativi e la performance aziendale. Il tutto declinato nell’ottica della sostenibilità.
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